«Siamo compratori». BANCOMAT spinge l'anima fintech. | BANCOMAT®

«Siamo compratori». BANCOMAT spinge l'anima fintech.

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«Siamo una fintech ma con 40 anni di storia». Il neoamministratore delegato Fabrizio Burlando sintetizza così le due anime di Bancomat, che ha visto di recente l'ingresso del fondo Fsi, diventato socio di maggioranza con il 43% accanto alle oltre 100 banche azioniste. Ex Mastercard, Burlando punta, da un lato, a consolidare il pilastro storico, fatto di carte, che ha reso il marchio tanto noto in Italia da diventare sinonimo di sportello per i prelievi. Dall'altro, mira a rafforzare il pilastro innovativo, fondato sui pagamenti digitali, che è inevitabilmente destinato a diventare portante. Coniugare queste due anime non è semplice, come accade in ogni transizione industriale. Ma Bancomat parte da un base solida, con oltre 2,5 miliardi di operazioni di pagamento e prelievo per un valore di circa 210 miliardi di euro su base annua e oltre 34 milioni di carte in circolazione. Burlando è perciò convinto che Bancomat possa diventare «la moneta digitale degli italiani» puntando su tre priorità: semplificazione, tecnologia e servizi a valore aggiunto. Parole d'ordine tutte racchiuse nell'accordo appena siglato con il colosso dell'e-commerce Amazon.

Cosa prevede l'intesa che avete appena stretto con Amazon?

«D'ora in poi sarà possibile fare acquisti su Amazon attraverso il portafoglio digitale di Bancomat Pay. L'intesa è stata frutto di un lungo lavoro perché Amazon è molto esigente in fatto di sicurezza e fluidità di pagamento. La nostra soluzione ha soddisfatto entrambi i requisiti grazie all'autenticazione a due fattori e alla semplicità di utilizzo. Se a ciò si aggiunge che il nostro sistema ha commissioni più basse degli altri, si capisce perché siamo convinti che molte piattaforme lo integreranno in breve tempo».

L'accordo con Amazon segue quello con Apple per portare le carte PagoBancomat su Apple Pay: non temete che un domani le big tech possano saltare gli intermediari di pagamento?

«Le big tech vogliono offrire servizi di pagamento, ma non costruire e gestire l'infrastruttura sottostante. Questo è invece il compito di operatori specializzati come Bancomat: volendo fare un paragone con la logistica, nei pagamenti noi gestiamo l'ultimo miglio per i giganti del web e, in generale, per tutti i commercianti online che vogliono vendere in Italia».

È questo il ruolo che immagina per Bancomat nell'industria dei pagamenti italiana?

«Siamo da sempre una piattaforma al servizio di banche, aziende e cittadini italiani e con una precisa missione: migliorare i pagamenti. Nel tempo, però, la stratificazione dei servizi e dei marchi ha creato un po' di confusione che non valorizza appieno la nostra offerta. Bancomat Pay, per esempio, consente già i pagamenti peer-to-peer come PayPal, ma in pochi lo sanno».

Come porre rimedio?

«Nello sviluppo della nostra offerta e della comunicazione vogliamo partire dalle esigenze del cliente e non dal prodotto, come è talvolta è accaduto in passato, creando soluzioni sofisticate ma poco interessanti per gli utenti. La parola d'ordine deve invece essere la semplificazione».

Anche nel numero dei marchi? Potrebbe restare solo Bancomat?

«È una possibilità, ma ne stiamo valutando diverse: di sicuro, vogliamo che la percezione di Bancomat vada oltre gli sportelli di prelievo e le carte di debito».

A proposito di carte di debito, nelle quote di mercato ormai siete testa a testa con Mastercard: temete la concorrenza dei circuiti internazionali?

«Non sono nostri concorrenti, cooperiamo: basti pensare che su 30 milioni di carte in Italia si trova già il nostro marchio accanto a quello di Visa o Mastercard. Come suggerisce la definizione stessa, i circuiti nazionali come Bancomat hanno la loro ragion d'essere nei pagamenti domestici. I circuiti internazionali sono invece nati per le transazioni verso il resto del mondo, con i costi che ne conseguono».

Che intende?

«Non dovendo fare lunghi percorsi al di fuori dei confini, i pagamenti via Bancomat hanno commissioni più basse per gli esercenti. Far transitare le operazioni su un'infrastruttura nazionale ha poi anche un valore strategico per l'Italia, rafforzando quell'autonomia il cui valore tutti i Paesi stanno riscoprendo».

A questo proposito, auspicate di trovare un'intesa con Poste sull'emissione delle carte?

«Ci sono stati dialoghi e il dialogo potrebbe riprendere in futuro.
Detto questo, Bancomat e Poste sono due attori di sistema italiani che già collaborano in diversi ambiti: le nostre carte, per esempio, sono accettate negli uffici postali».

Identità digitale ed euro digitale sono temi che vi interessano?

«Certo, stiamo facendo delle riflessioni su come Bancomat possa sviluppare servizi a valore aggiunto collegati, per esempio, alla pubblica amministrazione, ai programmi fedeltà e, in generale, alla valorizzazione dei dati. Questa era d'altronde la mia responsabilità nel precedente incarico per Mastercard».

Anche attraverso acquisizioni?

«È una delle frecce al nostro arco. Fsi ha appena iniettato 75 milioni in aumento di capitale, non abbiamo debiti e il nostro margine operativo è positivo: non ci mancano risorse per acquisizioni che accelerino la crescita nei servizi a valore aggiunto. Né ci manca il supporto delle banche azioniste».

Di tutte? UniCredit non ha approvato l'investimento di Fsi in Bancomat e sembra nutrire perplessità sui piani.
«Bancomat guarda al mercato. Unicredit, del resto, ha un rappresentante nel board di Bancomat ed utilizza gran parte dei nostri servizi».

Puntate a crescere anche all'estero?

«Abbiamo già stretto alcuni accordi di interoperabilità con i circuiti domestici di Spagna, Portogallo e Austria. Potranno seguirne altri, ma la nostra priorità al momento è l'Italia».

Perché?

«Vogliamo investire solo laddove possiamo fornire ai clienti servizi migliori e più semplici. Nel frammentato mercato europeo dei pagamenti, ora sono poche le possibilità di restare fedeli a questa linea. Certo, l'avvento dell'euro digitale potrebbe cambiare tutto e noi ci faremo trovare pronti».